Il saggio intende problematizzare e argomentare l’idea che le sopravvivenze del passato
presenti nei territori contemporanei non debbano essere trattate come immagini e simulacri di
un tempo che non è più, ma piuttosto come dei sintomi, dei segnali, degli inciampi di tempo che
possono aiutarci a comprendere e ad avere cura del nostro presente. Un presente che non è
una terra desolata e priva di qualità, ma piuttosto un mare che contiene abissi, grovigli vortici in
cui si mescolano diverse temporalità.
In questo senso il passato, contenuto nel territorio, può essere inteso come una sorta di grande
inconscio con cui fare i conti per avviare un lavoro di smontaggio, attraverso cui sciogliere quei
grovigli che bloccano il nostro presente, ma anche come un lavoro di scavo che potrebbe
aiutarci a portare alla luce perle inabissate, liberare energie sepolte, profezie di futuro
dimenticate che potrebbero contribuire a ripensare il nostro presente. E' partendo da questo
presupposto che si vuole introdurre il tema della cura.
L’idea attorno a cui si intende lavorare è quella di esplorare questo concetto partendo dal
presupposto che sia proprio attraverso questo lavoro complesso di erosione e di scavo in
profondità che occorra ripartire per stabilire relazioni profonde e significanti con il territorio. Un
territorio che non può più essere inteso come una superficie a cui sovrapporre qualsiasi
contenuto, ma piuttosto semmai come un “campo di energie” che contiene placente d’ombra,
latenze, memorie che entrano in collisione col presente.