La città globale ha generato una forte ipermobilità delle merci e degli uomini. Cambiano cioè gli
attori e i gruppi sociali della scena urbana. Rilevante è la presenza degli immigrati che
forniscono manodopera in numerosi ambiti. Le società ospitanti riconoscono, infatti, il ruolo
determinante degli stranieri in quanto lavoratori, ma pongono forti resistenze nel riconoscerli in
quanto cittadini. In altre parole, restano cittadini sospesi tra il paese d’origine e quello d’arrivo,
perché godono di una cittadinanza con revoca. Gli immigrati possono al massimo godere di una
cittadinanza sostanziale, nel senso che esiste un insieme di pratiche di cittadinanza, che fanno
percepire lo straniero come se fosse a casa propria pur non essendolo. Si tratta delle c.d.
pratiche di home making, cioè di addomesticamento dello spazio circostante. Tale
riappropriazione del contesto urbano, esprime in realtà la rivendicazione dello straniero al diritto
alla centralità e il desiderio di non essere periferizzati. Si tratta del diritto alla città elaborato da
Henri Lefebvre nel 1978, inteso come diritto alla vita urbana. Non tutti però godono allo stesso
modo di tale diritto: i soggetti più deboli e vulnerabili non hanno voce nei processi decisionali.
Ma la vera essenza della cittadinanza contemporanea consiste nel prender parte ad una vita
pienamente urbana, per tale motivo i migranti, in quanto attori urbani e portatori di una
particolare domanda di città, dovrebbero essere ascoltati dagli amministratori locali.